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Opi
Posto su un’altura a schiena di cavallo, lambito dalle rocce, con le sue case in pietra, il borgo cerca di sopravvivere ai terremoti che con continuità minacciano di disfarlo. Un disegno di Escher, il visionario artista olandese, ce lo mostra in groppa alla sua collina, come nave arenata – in inverno – in un mare di ghiaccio.
Opi è un luogo totalmente modellato sul territorio, in equilibrio instabile, come un lungo e bianco gregge di pecore su un dirupo. L’aspro carattere marsicano contrasta con l’origine, probabilmente fiabesca, del nome: opes in latino significa abbondanza, ma l’unica che qui si sia mai vista, era quella degli armenti, delle pecore e dei pastori.
Oggi quel pugno di case nell’impervio paesaggio abruzzese può comporre la sua nuova sinfonia pastorale guardandosi intorno e vedendosi diverso in ogni stagione. Carrarecce innevate, torrenti che fluiscono nelle valli, policromie di fiori allo scioglimento delle nevi, vecchi tratturi percorsi da giovani viandanti, boschi secolari dove allo sguardo dei briganti si è sostituito quello fuggitivo del camoscio: Opi ha forse trovato la sua Ope.
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