Visita Sepino
Sepino
Sepino è nata sul tratturo come posto di sosta per le greggi e i pastori che percorrevano le vie della lana.
Con le guerre sannitiche gli abitanti si spostarono sulla montagna oggi chiamata Terravecchia, dove costruirono una città definita da Livio “fortissima e molto potente”, e tuttavia espugnata dai Romani. Questi costruirono la nuova città adattando il cardo e il decumano ai preesistenti assi viari utilizzati dai Sanniti.
Andiamo dunque alla scoperta della città dissepolta, delimitata da mura che circondano una superficie quadrangolare di circa dodici ettari. L’impostazione urbanistica romana è perfettamente leggibile. Nelle mura si aprono quattro porte.
Cominciamo la nostra visita all’area archeologica da Porta Tammaro, dove un gruppo di case dalle murature in pietra imprigiona una struttura ad arco; vicino al lato destro della porta è conservato un fallo, simbolo apotropaico di virilità e magia.
Proseguendo lungo le mura troviamo la torre nord e il teatro, l’edificio più monumentale della città romana, attorniato da casali settecenteschi che ben si integrano con l’ambiente, perché costruiti da contadini e pastori impiegando lastre e conci di pietra provenienti dallo stesso teatro.
Edificato nel I secolo d.C., il teatro poteva contenere fino a tremila spettatori. Vi si rappresentavano ludi scenici, pantomime e altri generi teatrali. In estate veniva sollevato il velarium per proteggere gli spettatori dal sole.
Appena fuori le mura sorge il monumento funerario costruito in occasione della morte della moglie e del figlio di Publius Numisisus Ligus, tribuno dei soldati della legione terza di Augusto: in pratica, una tomba di famiglia. Arriviamo a Porta Boiano, la meglio conservata. Sul prospetto esterno si notano la chiave di volta con personaggio barbuto a rilievo, forse Ercole; due statue di prigionieri germanici in catene; l’iscrizione dedicatoria che ricorda i finanziatori dell’opera, Tiberio e Druso, figli adottivi di Augusto. A sinistra, a ridosso della cinta muraria, nella serie di locali strettamente connessi c’erano le terme, i cui mosaici sono conservati presso il museo di Porta Benevento.
Proseguendo lungo il decumano, dove si affacciavano le botteghe, si incontrano sul lato destro il tempio, il macellum, vale a dire il mercato, il tribunale e, all’incrocio con il cardo, la basilica, formata da un’unica navata centrale con peristilio delimitato da venti colonne a capitello, di cui nove intere; più avanti, il foro, la fontana e il quartiere abitativo. ù
Tornando indietro verso il foro, si vede alle sue spalle un arco monumentale, e continuando lungo il cardo si arriva a Porta Terravecchia. Sul lato sinistro del decumano, si succedono in ordine il comitium, cioè la sala destinata alle riunioni del popolo, la curia in cui si riuniva il senato della città, il tempio di Giove, quello dedicato all’imperatore Costantino e, sotto di esso, la “fullonica”, luogo adibito alla lavorazione dei panni di lana e alla concia delle pelli; più avanti, le terme pubbliche del foro, una domus chiamata “casa dell’impluvium sannitico”, la fontana del grifo, il mulino ad acqua.
Terminiamo la visita a Porta Benevento, con le due torri ai fianchi e gli elementi decorativi corrispondenti a quelli di Porta Boiano (nella chiave di volta, l’effigie di un guerriero con elmo, o forse di Marte, dio della guerra). Oltre la porta, la torre cilindrica posta su basamento quadrangolare è il mausoleo del magistrato Caio Ennio Marso, il cui cursus honorum è ricordato nell’iscrizione e negli elementi decorativi del prospetto anteriore. Ci resta ora da visitare il centro storico di Sepino, dopo il ripristino della pavimentazione in alcuni vicoli degradati.
La cinta muraria, risalente al IX secolo, è in gran parte inglobata nelle abitazioni, ma sono ancora visibili due porte e tre torri cilindriche. All’interno, edifici con rifiniture a intonaco si alternano a fabbricati in pietra a vista. Alcuni portali monumentali e alcuni edifici, come il settecentesco palazzo Giacchi e il rinascimentale palazzo Attilio, con eleganti finestre e portali in pietra rosa, conferiscono un tocco signorile a un’architettura per lo più rurale, senza tante pretese stilistiche. Del Cinquecento è la fontana della Canala, mentre in quella del Mascherone c’è la ricollocazione di un mascherone del II secolo d.C.
E’ però la chiesa di Santa Cristina il monumento più prezioso della Sepino sopravvissuta al terremoto del 1805. La sua storia comincia nel 1099, quando due pellegrini diretti in Terrasanta portarono qui le reliquie di Santa Cristina. Due battenti in bronzo forgiati verso il 1127 nelle botteghe di Oderisio da Benevento, ricordano la dominazione normanna. Nell’interno, a tre navate con croce latina, sono da vedere il sepolcro del vescovo Attilio (1536); due altari settecenteschi in marmo con intarsi policromi (in quello della navata laterale è posta una copia della “Madonna della Gatta” di Giulio Romano);l a cappella di San Carlo Borromeo (1737) con, al centro, una cornice in legno intarsiato e dorato che custodisce reliquiari dell’artigianato napoletano del Cinquecento; il coro ligneo settecentesco e la cappella Carafa, detta “del Tesoro” per le preziosità che contiene, a partire dalla porta in noce intagliata, opera di artigiani locali (1609), fino alle nicchie cinquecentesche con cornici in pietra e al busto reliquiario di Santa Cristina, in argento e rame dorato del XVII secolo. La cripta è stata restaurata nel 1999.