Nell’immaginario collettivo Scilla, dal greco Skylax, “cagna”, è legata al mostro (sei teste, sei lunghissimi colli e guaito di cucciolo di cane) creato dalle fantasie dei naviganti ed entrato nella leggenda omerica di Ulisse.
Di fronte – là dove Calabria e Sicilia sembrano quasi abbracciarsi – sta Cariddi, l’altro mostro che ingoia le acque e le rivomita, simboleggiando i pericolosi vortici delle correnti marine.
Come le Sirene, anche Scilla e Cariddi rappresentano, sotto il velo del mito, i pericoli della navigazione: l’ingannevole seduzione del mare calmo, i mostri che vivono nelle sue profondità.
Per preservare questo luogo, in cui gli antichi coloni greci hanno collocato le loro paure e fantasie, non bisogna dunque liberarlo dal mito, ma anzi farlo rivivere ogni volta che si guarda il mare.
Solo così è possibile non contaminare le emozioni mediterranee, i colori dell’acqua che cambiano con le ore, tenui all’alba, rossi o violetti al tramonto, con la banalità del moderno immaginario vacanziero.
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