È un saliscendi di morbide colline, la via che dal mare porta alla valle del Cesano e al borgo di Mondavio, annunciato da lontano dai campanili di San Francesco e della Collegiata.
Fossati e macchie di querce segnano i dolci declivi delle terre coltivate, su cui il cielo sembra appoggiarsi con tenerezza.
È incredibile come il profilo del borgo sia cambiato poco o nulla rispetto all’acquerello, conservato nella Biblioteca Vaticana, del pittore pesarese Francesso Mingucci, che lo “fotografava” nel 1626.
Si entra nel borgo sentendosi avvolti e protetti dalle mura rustiche di cotto rosso antico, dal mattone nudo e rossastro che porta tracce di piccola e grande storia, nelle case affacciate sui vicoli come nella straordinaria poesia architettonica della Rocca.
E’ un paradosso, questa macchina da guerra mai usata, sorta di macchina celibe alla Marcel Duchamp che non ha mai provato la sua utilità: la pratica militare si è messa al servizio del bello, creando un’architettura severa ma armoniosa, quasi un giocattolo per lo spirito.
La Rocca si integra con il paesaggio circostante: il centro della circonferenza in cui è iscritto il mastio è in asse con le tre strade principali e con il rettifilo di via Roma alle sue spalle.
E’ l’ordine geometrico, mentale, che i duchi di Urbino, amanti dell’arte e della guerra, ci hanno consegnato.
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