Posta all’inizio delle Gole del Sagittario, in un ambiente che i viaggiatori inglesi dell’Ottocento (Richard Craven, Edward Lear) trovavano “pauroso e bello”, Anversa ha colpito anche la fervida immaginazione di D’Annunzio che vi ha ambientato una fosca vicenda all’ombra di un suo imponente rudere, il palazzo dei Sangro.
Anversa è una primitiva bellezza che smuove le braci mai sopite di un Abruzzo misterioso e barbarico, nella visione del Vate.
Questa è la terra dei Marsi, e Marsus era un mago incantatore di serpenti: gli stessi che nello stemma di Anversa si ritrovano avvinghiati a un compasso, evocando iniziazioni esoteriche di sapore rosacrociano o massone.
Ma poi c’è il cucù che esce da un povero fischietto di creta, a riportare il tutto alla sua dimensione naïf, che è quella di un paese di antichi produttori di pignatte e giocattoli sonori, di rinomati maestri muratori, di pastori che oggi, attraverso Internet, chiedono l’adozione a distanza delle loro pecore, per salvare un mestiere dimenticato.
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